La Corte Costituzionale boccia la norma salva banche

2015-09-15 19_11_50-banca unimpresa italia 2.jpg (2400×1597)La Corte costituzionale, con la sentenza n. 78/2012, depositata il 2 aprile 2012, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 2, c. 61 del decreto legge 29/12/2010, n. 225 (c.d. Decreto Milleproroghe), convertito, con modificazioni, dalla legge 26/02/2011, n. 10.

Si trattava di una norma di interpretazione autentica – e quindi con efficacia retroattiva – dell’articolo 2935 del codice civile, che, per le sole operazioni bancarie in conto corrente, individuava la decorrenza del termine di prescrizione dei diritti nascenti dalle annotazioni degli addebiti in conto dalla data delle annotazioni stesse, anziché da quella di chiusura del conto.

La norma in parola si poneva in contrasto non solo con le norme costituzionali, ma anche con una consolidata giurisprudenza di legittimità e di merito, da ultimo confermata con la pronuncia n. 24418/2010 resa dalla Corte di Cassazione in composizione a Sezioni Unite, che ha ribadito essere la data di chiusura del rapporto di conto corrente il momento da cui decorre il termine di prescrizione del diritto alla ripetizione dell’indebito.

A seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale, resta aperta la possibilità, per tutti i correntisti che abbiano subito l’addebito di interessi anatocistici, di chiederli in ripetizione entro il decennio dalla data di chiusura del conto, secondo il principio espresso dalla Cassazione, nella citata sentenza 2 dicembre 2010 n. 24418: “Se, dopo la conclusione di un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, il correntista agisce per far dichiarare la nullità della clausola che prevede la corresponsione di interessi anatocistici e per la ripetizione di quanto pagato indebitamente a questo titolo, il termine di prescrizione decennale cui tale azione di ripetizione è soggetta decorre, qualora i versamenti eseguiti dal correntista in pendenza del rapporto abbiano avuto solo funzione ripristinatoria della provvista, dalla data in cui è stato estinto il saldo di chiusura del conto in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati”.

La sentenza in parola conferma la natura unitaria del rapporto di conto corrente, pur se articolato in una pluralità di atti esecutivi, dalla quale discende la configurabilità di un pagamento – in senso giuridico – soltanto all’atto della sua chiusura.

Tale principio non vale in presenza di versamenti del correntista che abbiano natura “solutoria”, siano cioè avvenuti in condizioni di “scoperto” di conto, vale a direquando un conto privo di affidamento sia “in rosso” oppure quando il saldo debitore superi i limiti dell’affidamento concesso dalla banca.

I versamenti che hanno natura solutoria costituiscono dei veri e propri pagamenti e, se indebiti, possono essere impugnati entro il termine di 10 anni dal versamento (non dunque dalla chiusura del conto), altrimenti sono irripetibili. Si aggiunga che, quale ulteriore corollario del principio in parola, possono divenire irripetibili unicamente gli interessi indebiti maturati sullo scoperto oltre i limiti del fido.

Ne consegue che solo i pagamenti – come sopra definiti – che risultassero indebiti, che siano avvenuti nel periodo antecedente al decennio dalla data di chiusura del conto e che abbiano avuto per oggetto interessi maturati oltre il limite del fido potrebbero divenire irripetibili, sì che la descritta impostazione determina un trascurabile impatto, in termini economici, sulle somme recuperabili dai correntisti a titolo di indebito.

In conclusione, la pur prevedibile declaratoria di illegittimità costituzionale della norma salva banche ha riaperto per i correntisti la possibilità di agire per la ripetizione dell’indebito pagamento di interessi anatocistici nell’ambito dei rapporti bancari di conto corrente.

A cura di avv. Roberto Riscica

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