FALLIMENTO: L’OPPONIBILITÀ ALLA MASSA DEI CREDITORI DEL DECRETO INGIUNTIVO

AVV. GABRIELE DOZZO

La procedura concorsuale fallimentare prevede una fase di accertamento del credito, che l’art. 95 l.f. devolve in via esclusiva agli organi della procedura medesima, i quali devono provvedere al vaglio circa la sussistenza del credito ed il relativo rango. L’ammissione del credito al passivo consegue all’accertamento della validità del titolo da cui deriva il credito stesso e della sua efficacia nei confronti della massa dei creditori.

In tale ambito, con riferimento alla validità ed efficacia dei titoli di natura giudiziaria, il Giudice delegato è vincolato solo da quelli passati in giudicato.

Per i crediti accertati con sentenza del giudice ordinario o speciale pronunziata prima della dichiarazione di fallimento ma non passata in giudicato, l’art. 96, comma 2, n. 3 l.f. dispone che essi vengano ammessi al passivo con riserva.

In questi casi, poiché la sentenza, una volta passata in giudicato, diverrà opponibile alla massa ed il credito andrà ammesso al passivo così come accertato, è riconosciuta facoltà al curatore fallimentare ed al creditore di impugnare la sentenza non definitiva, proseguendo il giudizio fino al definitivo accertamento (o disconoscimento) del credito fatto valere in sede concorsuale.

Costituisce titolo per l’ammissione del credito al passivo anche il decreto ingiuntivo passato in giudicato in data anteriore alla dichiarazione di fallimento per mancata tempestiva opposizione o perché l’opponente non si è costituito. (cfr. CC 22959/2007; CC 1870/2006).

Se, viceversa, al momento della dichiarazione di fallimento corre il termine per presentare opposizione avverso il decreto ingiuntivo ovvero pende il giudizio di opposizione, il credito mantiene natura litigiosa ed il decreto ingiuntivo va dichiarato inefficace nei confronti della massa.

Quando il decreto ingiuntivo non è opponibile al fallimento, il creditore parteciperà alla distribuzione dell’attivo con gli altri creditori solo previa domanda di ammissione al passivo del credito in linea capitale, che deve essere proposta al giudice fallimentare.

Infatti, stante l’inopponibilità del decreto ingiuntivo alla massa, sono parimenti inopponibili le ipoteche iscritte in virtù della provvisoria esecutività eventualmente conferita al decreto ingiuntivo e non sono ammesse al passivo fallimentare le spese liquidate nel decreto medesimo.

Si tratta ora di stabilire quando il decreto ingiuntivo acquisti l’efficacia di giudicato sostanziale e, per tale ragione, divenga opponibile alla massa dei creditori nell’ambito della procedura fallimentare, consentendo l’insinuazione al passivo delle spese liquidate nel medesimo.

In particolare si farà riferimento al caso in cui il decreto sia stato dichiarato provvisoriamente esecutivo e sia anche scaduto il termine per presentare opposizione ma il decreto medesimo non risulti ancora munito del visto di esecutività ex art. 647 c.p.c. alla data di dichiarazione di fallimento del debitore.

In materia fallimentare, la dichiarazione di esecutività del decreto ingiuntivo non opposto, resa ai sensi dell’art. 647 c.p.c., è stata dalla giurisprudenza costantemente considerata quale condizione necessaria per attribuire efficacia di giudicato sostanziale al medesimo, poiché tale dichiarazione espleta “una funzione accertativa della regolarità della notifica e costitutiva dell’efficacia di giudicato” (CC 6085/2004) in funzione del rispetto del diritto di difesa, che impone un controllo giudiziario sulla esistenza e validità della notifica del decreto.

Per tale ragione l’opponibilità o meno del decreto ingiuntivo al fallimento dipende dall’anteriorità o meno dell’apposizione del visto di esecutività rispetto alla data della dichiarazione di fallimento del debitore ingiunto. La citata sentenza n. 6085/2004, la Corte di Cassazione ha inoltre precisato che l’effetto preclusivo di carattere processuale (giudicato formale) si produce anche a prescindere dalla dichiarazione di esecutività resa ai sensi dell’art. 647 c.p.c..

In altre parole, l’efficacia del decreto ingiuntivo non opposto ovvero opposto tempestivamente ma senza che l’opponente si sia costituito (sull’equiparazione delle due fattispecie si veda CC 10116/2004) viene circoscritta al c.d. “giudicato interno”, che discende dalla mera decorrenza dei termini e lo rende inimpugnabile. Una volta decorsi detti termini l’opposizione eventualmente proposta diviene improcedibile e la relativa eccezione è rilevabile d’ufficio.

Il giudicato interno è estraneo al dettato normativo e può essere definito come quello formatosi nel processo in corso, come affermato da CC 3258/1991: “Configurandosi il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo come ulteriore sviluppo della fase monitoria, nel corso di esso il giudice può rilevare di ufficio il giudicato formatosi sul decreto stesso a causa dell’intempestività dell’opposizione, poiché tale formazione si è verificata nell’ambito dell’unico procedimento in corso e riguarda perciò un giudicato c.d. interno.”.

L’efficacia di giudicato del decreto ingiuntivo non opposto, ma privo del visto di esecutività, si manifesterebbe pertanto unicamente nell’ambito del procedimento monitorio: come anticipato, il decreto viene considerato inopponibile alla massa dei creditori, con l’ulteriore conseguenza che non possono essere ammesse al passivo fallimentare le spese ivi liquidate e l’eventuale iscrizione ipotecaria effettuata in virtù della sua provvisoria esecutività non è parimenti opponibile al fallimento (in questo senso: CC 2689/1996; CC 7045/1995; CC 2402/1995; CC 10260/1994).

Il decreto ingiuntivo non opposto, pur se destinato ad acquistare la medesima efficacia di giudicato sostanziale di una sentenza definitiva (con l’apposizione del visto di esecutività), non è tuttavia ritenuto equiparabile alle sentenze non passate in giudicato, per le quali trova applicazione l’eccezione al principio dell’accertamento concorsuale di cui all’art. 96, comma 2, n. 3 l.f., eccezione che consente l’ammissione con riserva del relativo credito.

A tale ultimo proposito, la Corte di Cassazione ha affermato che nemmeno la necessità di prevenire possibili contrasti tra diverse statuizioni giurisdizionali, né l’intento di privilegiare la modalità più sollecita dell’accertamento, né, infine, quello di evitare la regressione del giudizio ad un grado inferiore al di là dei casi tassativamente previsti dalla legge può superare il divieto di estensione analogica della deroga alla regola della vis attractiva della procedura concorsuale prevista per le sentenze non definitive (CC 9346/1997).

La deroga prevista dall’art. 96, comma 2, n. 3 l.f. può essere applicata unicamente “ … alla sentenza emessa nel procedimento di cognizione, la quale è idonea ad acquisire la forza del giudicato in virtù dell’accertamento promanante da un giudice investito di cognizione piena, come tale dotata di un certo grado di autorità (e di probabile certezza) in funzione di un certo grado di prossimità alla – pur non ancora conseguita – irrevocabilità in funzione della sua collocazione nello sviluppo procedimentale. Su presupposti del tutto diversi si fonda l’attitudine che il decreto ingiuntivo pure possiede al conseguimento della definitività. Come altre volte questa Corte regolatrice ha avuto occasione di precisare, il decreto ingiuntivo, nel caso di mancata opposizione nel termine di legge ovvero di mancata costituzione dell’opponente, viene dichiarato esecutivo non già perché all’accertamento provvisorio sia attribuita una autonoma valenza sostanziale, ma perché, in difetto dell’attività dell’intimato volta ad ottenere il trasferimento della controversia sul piano della cognizione ordinaria, stimasi giustificata l’illazione che quell’accertamento, anche se compiuto inaudita altera parte, sia rispondente alla realtà giuridica. … la caratteristica qualificante della fattispecie del decreto ingiuntivo, rispetto al giudizio di cognizione ordinaria, consiste nella presenza di un titolo provvisorio, che da un lato è suscettibile di divenire definitivo soltanto a seguito di un determinato tipo di condotta omissiva dell’intimato e dei provvedimenti che in relazione a tale condotta saranno adottati dal giudice, ovvero, in caso di opposizione, è destinato ad assumere il valore di atto propositivo della domanda e introduttivo del giudizio, assumendo l’opposizione quello di atto con cui ad iniziativa dell’intimato il giudizio prosegue con la particolarità della inversione puramente formale della posizione reciproca delle parti. Viene quindi in essere una situazione equiparabile a quella scaturente dalla pendenza di un giudizio di cognizione di primo grado, che diventa improcedibile nei confronti della massa se il creditore intende concorrere nel fallimento, mentre resta suscettibile di prosecuzione nei confronti del debitore al solo fine della formazione di un titolo da far valere contro di lui dopo la chiusura del fallimento, senza che questo eventuale sviluppo processuale possa esplicare alcuna interferenza nello svolgimento della procedura fallimentare. … “.

Infine è stata esclusa la possibilità che il giudice delegato possa autonomamente procedere, nell’ambito delle procedura fallimentare, all’accertamento della regolarità della notifica del decreto ingiuntivo, costituendone l’efficacia di giudicato sostanziale.

Non risultano precedenti giurisprudenziali di segno contrario rispetto all’orientamento illustrato.

Secondo una prima ricostruzione dottrinale, peraltro del tutto isolata e mai seguita dalla giurisprudenza, il decreto ingiuntivo non opposto non avrebbe alcuna valenza di accertamento, in quanto l’istituto sarebbe rivolto unicamente a fornire al creditore un titolo esecutivo.

L’assunto troverebbe ragione in due previsioni, contenute nel comma 1 dell’art. 633 c.p.c. e nel comma 3 dell’art. 640 c.p.c.: la prima attribuisce al credito ed alla prova il ruolo di semplice condizione di ammissibilità del decreto, del tutto slegata dall’accertamento in ordine all’effettiva esistenza dello stesso. La seconda nega efficacia di accertamento del credito nell’ipotesi di rigetto, e tanto basterebbe per imporre una soluzione simmetrica in caso di accoglimento (Tomei, Cosa giudicata o preclusione nei procedimenti sommari ed esecutivi, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1994, p. 841 ss.).

Tale posizione parte dal presupposto per cui alla base del procedimento monitorio non v’è un’azione ordinaria di condanna, bensì un’azione sommaria di carattere processuale con cui il ricorrente chiede al giudice la verifica dell’esistenza dei presupposti speciali che costituiscono la conditio sine qua non per ottenere il provvedimento di ingiunzione. Pertanto l’attività cognitiva del giudice non si estenderebbe all’accertamento del diritto di credito “sottostante”, ma alla sola presenza dei requisiti speciali previsti per il procedimento.

La fase di opposizione a decreto ingiuntivo, in questa prospettiva, si configura come un’impugnazione processuale speciale (analoga alle opposizioni del processo esecutivo), che, se accolta, porta sempre e solo alla revoca del decreto, senza alcuna possibilità di accertare il credito.

In base alla suesposta teoria, pertanto, il decreto ingiuntivo non risulterebbe in nessun caso idoneo a dare vita al giudicato sostanziale e quindi non potrebbe mai costituire valido titolo per l’ammissione al passivo fallimentare delle spese di procedura liquidate nel medesimo.

Altra parte della dottrina individua nel ricorso per ingiunzione un cumulo di domande: l’azione monitoria sempre e, condizionatamente all’opposizione del debitore, l’ordinaria azione di condanna.

L’efficacia di giudicato sostanziale potrebbe dispiegarsi solo all’esito dell’azione ordinaria di condanna e quindi, subordinatamente all’opposizione del debitore, perché, se con il ricorso per decreto ingiuntivo il creditore chiede al giudice la verifica dell’esistenza dei presupposti speciali prescritti per il procedimento monitorio, ne consegue che l’eventuale rigetto del ricorso comporta semplicemente la dichiarazione dell’inesistenza di quei requisiti, e non certo del diritto di credito.

La restante dottrina afferma, con qualche difficoltà, che l’azione di cognizione esercitata nel procedimento d’ingiunzione abbia natura ordinaria, in quanto per classificarla come speciale bisognerebbe dimostrare che il suo esercizio è diretto a provocare la pronuncia di un provvedimento dichiarativo speciale, divergente nella natura e negli effetti dal provvedimento giurisdizionale dichiarativo. Invece gli effetti del decreto ingiuntivo non differiscono da quelli di un’ordinaria sentenza di condanna soggetta ad appello e, per tale ragione, entrambe le tesi sopra esposte non possono trovare accoglimento.

Anche a voler considerare l’azione monitoria come un’azione di condanna che si esercita in forme speciali, la stessa sarebbe pur sempre un’ordinaria azione di cognizione tesa ad ottenere un provvedimento giurisdizionale identico a quello pronunciato in un ordinario processo di condanna, benché emesso all’esito di una cognizione sommaria.

Si osserva tuttavia che tale assunto non si concilia del tutto con l’ultimo comma dell’art. 640 c.p.c., che viene costantemente letto nel senso che il decreto motivato di rigetto del ricorso non accerta, con autorità di cosa giudicata, l’inesistenza del diritto di credito fatto valere dal ricorrente.

Pertanto, o si ritiene che l’attività cognitiva del giudice investito del ricorso monitorio sia limitata ai presupposti speciali del ricorso (e allora al decreto non potrà ricondursi alcuna efficacia di giudicato né in ipotesi di accoglimento, né di rigetto, sì che non risulterà in nessun caso opponibile al fallimento), oppure si riconosce che il giudice sia chiamato a conoscere e decidere dell’esistenza del diritto. In tale ultimo caso una logica lineare imporrebbe che ad entrambi i decreti, quello che accoglie e quello che rigetta l’istanza ingiuntiva si debba riconoscere efficacia di giudicato.

Altre ipotesi ricostruttive avanzate sull’efficacia del decreto ingiuntivo non opposto hanno escluso che esso possa produrre gli effetti della cosa giudicata sostanziale, limitandone gli effetti alla pura e semplice protezione di quanto conseguito o conseguibile in via di esecuzione (c.d. preclusione pro iudicato). L’assenza di contraddittorio nella fase ingiuntiva in senso stretto e la cognizione puramente sommaria compiuta dal giudice impedirebbero al decreto ingiuntivo l’assimilazione alla sentenza passata in giudicato, tranciando così ogni potenziale efficacia riflessa del dictum monitorio.

Questa strada è però destinata a conferire comunque una certa qual stabilità al decreto non opposto, ma con un’efficacia di giudicato in qualche modo “depotenziata”. Dovrebbe in altri termini ammettersi una sorta di giudicato sostanziale a due teste: una per le sentenze di merito, l’altra per i provvedimenti contenenti un accertamento, sia pure sommario, della situazione sostanziale. E infatti i più recenti sostenitori della tesi criticata ammettono che con la preclusione pro iudicato si vuole in realtà individuare “un fenomeno qualitativamente identico a quello del giudicato sostanziale, ma quantitativamente più ristretto” (Proto Pisani, Note problematiche e note sui limiti oggettivi del giudicato civile, p. 454).

In realtà, anche in questo caso, o si ammette che il decreto ingiuntivo non contiene alcun accertamento, e allora si nega in radice qualsiasi stabilità al provvedimento stesso, oppure, se il giudice ha conosciuto e deciso dell’esistenza del credito, allora al relativo decreto andrà attribuita efficacia di giudicato, la medesima che l’art. 2909 c.c. prevede per le sentenze non più impugnabili.

In questa prospettiva, chi individua nel decreto ingiuntivo non opposto una sorta di preclusione pro iudicato dovrebbe più persuasivamente negare a quel provvedimento qualsiasi efficacia.

Anche la tesi da ultimo illustrata, pertanto, non appare condivisibile.

Infine, l’orientamento più autorevole rimette al centro dell’indagine l’accertamento che il giudice è chiamato a svolgere. L’eventuale fase di opposizione recupera il suo originario significato di garanzia del contraddittorio, senza incidere direttamente quale presupposto per l’efficacia di accertamento, fermo restando che di questa si può parlare in quanto sussista la garanzia del contraddittorio (Garbagnati, Il procedimento d’ingiunzione, p. 87 e ss.).

Tuttavia, una volta prevista la possibilità di instaurare il giudizio di opposizione, l’efficacia del decreto deve essere valutata solamente sulla base dell’attività che il giudice svolge in quella sede, cioè stabilendo se l’attività che il giudice compie nella fase inaudita altera parte abbia o meno le caratteristiche di determinare l’accertamento del diritto dedotto dal ricorrente, a seconda che la stessa abbia ad oggetto i soli presupposti di ammissibilità generali e speciali previsti per l’istituto oppure, invece, comporti un vero e proprio accertamento della fondatezza, in fatto e diritto, della pretesa azionata dal ricorrente.

L’ipotesi secondo la quale il giudice investito del ricorso procede all’accertamento della fondatezza, in fatto e diritto, della pretesa creditoria del ricorrente consentirebbe di riconoscere quell’efficacia di giudicato sostanziale al decreto ingiuntivo non opposto necessaria a renderlo opponibile alla massa dei creditori in sede fallimentare, sì da consentire l’insinuazione al passivo anche delle spese del procedimento monitorio.

Il giudice dovrebbe certamente provvedere al rigetto nel merito dell’istanza monitoria, qualora risultasse dagli elementi forniti dal creditore a fondamento della sua domanda che il diritto non esiste, ad esempio, quando il giudice constati che il documento posto dal ricorrente a fondamento del proprio credito non è in realtà autentico, o non emergono sufficienti indizi dell’adempimento della controprestazione o del verificarsi della condizione cui era subordinato il pagamento, ma anche quando dalla stessa ricostruzione dei fatti dedotti nel ricorso, o dai documenti ad esso allegati, emerga un fatto impeditivo rilevabile d’ufficio, o più banalmente, emerga che il pagamento richiesto è in realtà già stato eseguito.

Se si ammette che il giudice investito del ricorso compia un vero e proprio accertamento, non vi sono motivi per negare che quell’accertamento, per il caso in cui il decreto ingiuntivo non venga opposto nei termini, acquisti efficacia di giudicato ai sensi dell’art. 2909 c.c..

L’art. 656 del codice di rito prevede, nel rinvio all’art. 395, n. 5, l’impugnazione per revocazione ordinaria del decreto ingiuntivo contrario ad una precedente sentenza avente, tra le parti, autorità di cosa giudicata. Detta norma conferisce pari dignità alla sentenza passata in giudicato e al decreto ingiuntivo non opposto, postulando conseguentemente l’efficacia di giudicato di quest’ultimo. Non solo: poiché la stessa norma estende al decreto ingiuntivo l’opposizione revocatoria di terzi aventi causa, ex art. 404, comma 2 c.p.c. – e l’operatività di tale rimedio si giustifica solamente ammettendo che il decreto non opposto sia perfettamente in grado di riverberare i propri effetti su liti dipendenti – ciò presuppone, ancora una volta, che il decreto sia idoneo ad acquisire gli effetti della cosa giudicata ex art. 2909 c.c.. Gli addentellati normativi agli artt. 656 e 404 c.p.c. costituiscono senza dubbio un argomento che avvalora fortemente la ricostruzione dottrinale da ultimo illustrata.

L’orientamento giurisprudenziale dominante lascia perplessi e non appare del tutto condivisibile, in considerazione del fatto che l’esecutività, che il decreto ex art. 647 c.p.c. è volto a conferire al decreto che ne sia privo, costituisce un effetto ulteriore e distinto rispetto all’accertamento del giudicato sostanziale.

Il tenore della norma non aiuta a comprendere se il decreto ingiuntivo non opposto sia idoneo ad acquistare la sola efficacia esecutiva e di giudicato interno, o se invero allo stesso possa ricondursi l’efficacia di giudicato – ex art. 2909 c.c. – propria delle sentenze emanate all’esito dell’ordinario processo di cognizione e non più soggette alle impugnazioni di cui all’art. 324 c.p.c., in modo tale da risultare opponibile anche in sede fallimentare e di consentire l’insinuazione al passivo delle spese del relativo procedimento.

Quella monitoria va qualificata come un’azione di condanna che si esercita in forme e con presupposti speciali, senza incidere sull’oggetto e sugli effetti della stessa, che è un’ordinaria azione di cognizione, tesa ad ottenere la pronuncia di un provvedimento giurisdizionale identico per natura a quello pronunciato in un ordinario processo di condanna, benché emesso all’esito di una cognizione sommaria.

La ricostruzione dottrinale più autorevole dell’efficacia del decreto ingiuntivo non opposto è quella che ammette che il giudice investito del ricorso compia un vero e proprio accertamento, acquistando efficacia di giudicato ai sensi dell’art. 2909 c.c..

L’eventuale apposizione al medesimo del visto di esecutività serve unicamente a conferire efficacia esecutiva al decreto che ne sia privo. Ciò nonostante, la giurisprudenza riconosce viceversa efficacia costitutiva del giudicato sostanziale proprio al decreto di esecutività di cui all’art. 647 c.p.c..

Se si considera che il procedimento monitorio è condizionato dalla presenza di una prova documentale scritta (c.d. procedimento monitorio documentale), che consente tra l’altro al decreto ingiuntivo di sopravvivere durante la fase di opposizione (potendo anche mantenere provvisoriamente gli effetti esecutivi), quando il debitore ingiunto non propone tempestivamente l’opposizione, la sua acquiescenza dovrebbe di per sé determinare l’accertamento del diritto di credito azionato, a prescindere dalla esecutività o meno del decreto ingiuntivo.

L’ipotesi di mancata costituzione dell’opponente, equiparata quoad effectum al decreto non opposto e parimenti discendente da una condotta omissiva del debitore ingiunto, a differenza della prima, è destinata a sfociare in una sentenza immediatamente esecutiva che dichiara il procedimento estinto e conferma il decreto ingiuntivo ed è quindi opponibile al fallimento.

Contrariamente, nel caso di decreto non opposto, per ottenere la dichiarazione di esecutività ai sensi art. 647 c.p.c. è necessaria l’istanza, anche verbale, del ricorrente.

Si vuole evidenziare il fatto che, pur essendo equiparata ai fini del passaggio in giudicato del decreto ingiuntivo la scadenza del termine per presentare opposizione e di quello stabilito per la costituzione dell’opponente, nel primo caso, per rendere opponibile al fallimento il decreto medesimo, è richiesta un’attività ulteriore del ricorrente, costituita dalla formulazione della suddetta istanza per il rilascio del visto di esecutività del decreto ai sensi dell’art 647 c.p.c..

Supponiamo ora che un decreto ingiuntivo sia dichiarato provvisoriamente esecutivo e che il ricorrente abbia intrapreso immediatamente l’esecuzione: una volta decorso il termine per presentare opposizione il titolo esecutivo diviene inimpugnabile ma non è ancora opponibile al fallimento per assenza del visto di esecutività reso ai sensi dell’art 647 c.p.c., cui la giurisprudenza attribuisce efficacia costitutiva del giudicato sostanziale.

In tal caso il decreto è già munito di efficacia esecutiva e l’ingiunto è decaduto dalla facoltà di impugnarlo, ma a ben vedere il ricorrente, già munito di titolo esecutivo irrevocabile, non ha alcun interesse a formulare l’istanza per ottenere la dichiarazione di esecutività.

Nella descritta situazione, un’eventuale intervenuta dichiarazione di fallimento del debitore ingiunto, poiché si è ritenuto superfluo richiedere la dichiarazione di esecutività del decreto ingiuntivo, potrebbe in qualsiasi momento rendere inopponibile il titolo alla massa dei creditori e determinare la non ammissione al passivo delle spese del procedimento monitorio.

Il ricorrente dovrebbe in tale eventualità riproporre la domanda al giudice fallimentare ed oltre a vedere escluse le spese liquidate nel decreto subirebbe anche la declaratoria di inefficacia dell’eventuale ipoteca iscritta sui beni del debitore nei confronti della massa.

Se poi il ricorrente avesse anche intrapreso l’azione esecutiva prima dell’apposizione del visto di esecutività al decreto, in caso di intervenuto fallimento del debitore, gli effetti benefici dell’esecuzione sarebbero trasferiti alla massa dei creditori concorsuali.

Tutte le descritte gravose conseguenze a carico del creditore ricorrente che non si sia premurato di richiedere il visto di esecutività del decreto ingiuntivo appaiono del tutto ingiustificate.

Sarebbe corretto invece attribuire alla mera decorrenza del termine perentorio per presentare opposizione avverso un decreto ingiuntivo (o del termine di costituzione dell’opponente) l’efficacia costitutiva di giudicato sostanziale del medesimo, a prescindere dall’apposizione o meno del visto di esecutività, che il ricorrente avrà interesse a richiedere solo qualora il decreto sia stato emesso privo di efficacia esecutiva.

Anche a prescindere dalla verifica circa regolarità della notificazione del decreto, da effettuarsi a cura del giudice investito del ricorso in sede di apposizione del visto di esecutività, al debitore ingiunto (e successivamente sottoposto ad esecuzione) residuerebbe comunque il rimedio dell’opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c., a condizione di fornire la prova di non aver avuto conoscenza tempestiva del decreto per caso fortuito o per forza maggiore o per irregolarità della notificazione.

La ricostruzione che precede, se accolta, permetterebbe di riconoscere efficacia di giudicato sostanziale al decreto ingiuntivo non opposto a prescindere dal rilascio del decreto di esecutività ex art. 647 c.p.c., decreto che viceversa, ad avviso della giurisprudenza unanime di Cassazione, riveste efficacia costitutiva del giudicato sostanziale del decreto ingiuntivo non opposto.

L’efficacia di giudicato sostanziale del decreto ingiuntivo costituisce a sua volta la condizione di opponibilità del decreto medesimo al fallimento e, pertanto, anche dell’ammissibilità al passivo fallimentare delle spese del procedimento monitorio e della opponibilità degli atti esecutivi eventualmente intrapresi in virtù della sua provvisoria esecutività.

Per le ragioni tutte che precedono, pur essendo teoricamente riconducibile l’efficacia giudicato sostanziale di un decreto ingiuntivo non opposto alla mera scadenza del termine per presentare opposizione da parte del debitore ingiunto, appaiono assai ridotte le possibilità di vedere accolta in sede giurisdizionale la tesi esposta, stante l’uniformità e costanza delle pronunce giurisprudenziali di segno contrario.

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