I dati commerciali nella concorrenza sleale

STILE LIBERO Parola all’avvocato

L’utilizzo dei dati commerciali nella concorrenza sleale

Fare chiarezza sulle responsabilità di aziende e dipendenti

AVV. PAOLO RISCICA

Il nostro sistema giuridico tutela le informazioni riservate dell’azienda, in modo da preservare il know-how e tutti quei dati che l’impresa ha faticosamente acquisito negli anni e che costituiscono, di fatto, il “patrimonio” della stessa. Ma le informazioni commerciali, intese quali i dati relativi a elenchi clienti, fornitori, prezzi, fatturati, condizioni di vendita e quant’altro correlato all’attività di vendita, possono essere considerate riservate e meritevoli di tutela? La risposta è sì.

In effetti, le norme che hanno portato a tale interpretazione giurisprudenziale sono contenute principalmente nell’art. 98 del Codice della Proprietà Industriale e nell’art. 2598 del Codice Civile.

Il Codice della Proprietà Industriale dice che…

L’art. 98 del Codice della Proprietà industriale tutela “le informazioni aziendali e le esperienze tecnico-industriali, comprese quelle commerciali, soggette al legittimo controllo del detentore, ove tali informazioni siano segrete, nel senso che non siano nel loro insieme o nella precisa configurazione e combinazione dei loro elementi generalmente note o facilmente accessibili agli esperti ed agli operatori del settore; abbiano valore economico in quanto segrete e siano sottoposte, da parte delle persone al cui legittimo controllo sono soggette, a misure da ritenersi ragionevolmente adeguate a mantenerle segrete”.

In base a tale norma, devono ricorrere alcuni requisiti specifici per poter considerare un’informazione come “riservata”, ovvero la segretezza, il valore economico e le misure di sicurezza predisposte dall’imprenditore per il mantenimento della riservatezza stessa dell’informazione.

Si noti che quest’articolo del Codice fa espresso riferimento alle informazioni e alle esperienze “commerciali”, prevedendo quindi che anche i dati commerciali siano meritevoli di tutela.

Il Codice Civile dice che…

Qualora non siano rispettati contemporaneamente i requisiti di segretezza, valore economico e misure di sicurezza presenti nell’articolo trattato, vi è comunque la tutela approntata dalla norma generale contenuta nell’art. 2598 del Codice Civile.

Infatti i primi due commi prevedono comportamenti tipici vietati che vanno dagli atti di concorrenza sleale per confusione, a quelli di denigrazione e vanteria.

Particolarmente importante si rivela il terzo comma, il quale prevede che “[…] compie atti di concorrenza sleale chiunque [….] si vale direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda”.

Tale norma fissa una nozione di concorrenza sleale piuttosto ampia, comprendendo tutti i comportamenti dell’imprenditore volutamente diretti a privare il concorrente del risultato del suo investimento e a danneggiarlo commercialmente.

Come ha avuto modo di chiarire il Tribunale di Milano (sentenza del 7.11.2016), le notizie inerenti alla clientela e alle condizioni economiche dei rapporti contrattuali sono per loro stessa natura riservate e non sono destinate ad essere divulgate al di fuori dell’azienda, indipendentemente dal fatto che esse siano accessibili ai dipendenti dell’impresa nella normale esplicazione del loro lavoro.

Non v’è dubbio, quindi, che costituisce condotta non conforme alle regole di concorrenza l’utilizzo in grande quantità di dati commerciali riservati, come elenchi clienti, fornitori, prezzi, fatturati etc.

Dipendenti infedeli ed ex dipendenti

Vale ora la pena accennare alle possibili responsabilità dell’azienda concorrente che ha acquisito ed utilizzato i dati commerciali, oltre alle responsabilità per il soggetto che ha divulgato tali dati.

Infatti, nella prassi, i dati commerciali vengono soventemente diffusi da dipendenti infedeli o da ex dipendenti, che si trovano ovviamente in una posizione privilegiata di accesso alle informazioni aziendali.

Per quanto riguarda i dipendenti infedeli, è solo il caso di ricordare che l’art. 2105 c.c. impone al dipendente il dovere di fedeltà mediante l’osservanza di due obblighi di natura negativa:

a) divieto di concorrenza;

b) obbligo di riservatezza.

La violazione di tali precetti comporta una responsabilità disciplinare (art. 2106 c.c.), con l’obbligo al risarcimento dei danni subiti dal datore di lavoro, ma può essere configurata altresì una responsabilità penale per la protezione del segreto professionale ed aziendale (sanzionata dagli artt. 621-623 del Codice Penale).

Va precisato che, in ogni caso, si presumono imputabili all’impresa concorrente gli atti del dipendente che fornisce a questa notizie riservate sull’organizzazione e sull’attività del proprio datore di lavoro, con conseguente responsabilità della stessa in ordine ai danni subiti per il comportamento del dipendente infedele.

Gli ex dipendenti, invece, non essendo più sottoposti ai precetti di cui all’art. 2105 c.c., gli stessi devono comunque osservare le normali regole di concorrenza leale e di correttezza professionale, incluse quelle di non utilizzare informazioni acquisite durante il rapporto di lavoro, non altrimenti ricavabili e non riferite alle capacità professionali dell’ex dipendente (così, Trib. Milano 16 giugno 2015).

Mentre per avere una tutela nei confronti dei dipendenti è opportuno far sottoscrivere loro un patto di non concorrenza ai sensi dell’art. 2125 c.c. ed un patto di riservatezza. L’unico rimedio per ottenere tutela nei confronti dell’azienda concorrente è rivolgersi all’Autorità Giudiziaria, anche per l’emissione di eventuali provvedimenti urgenti che inibiscano l’utilizzo dei dati commerciali riservati.

Articolo pubblicato per la rivista LOGYN n.15 scaricabile al seguente link

 

 

Nessun commento ancora

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *